domenica 24 febbraio 2019

L'epilessia del pensiero: Fortnite e la ghiandaia imitatrice.


Inviata una lettera aperta ai genitori dei miei alunni: i giocatori manifestano dipendenza psico-fisica e soffrono di una forma larvata di epilessia.


È da un po’ di tempo che mi sto rendendo conto di un fenomeno di un certo rilievo sociale, che riguarda soprattutto i fanciulli, gli adolescenti e persino i giovani, tanto che la cosa mi ha spinto a scrivere una lettera aperta ai genitori dei miei alunni, dal momento che da qualche mese ho notato in loro la comparsa di una serie preoccupante di sintomi, tra loro sicuramente in relazione stretta e legati evidentemente a una causa comune.
Sintomi che vanno sicuramente oltre il “disturbo da deficit dell’attenzione ed iperattività” (definito anche DDAI in italiano o anche ADHD in inglese, da Attention Deficit Hyperactivity Disorder), ormai già conosciuto come uno dei più comuni disturbi neurocomportamentali, poiché l’osservazione dei miei alunni, soprattutto di genere maschile, mi porta a concludere che il fenomeno sia un po’ più esteso, sia per intensità che per quantità dei soggetti coinvolti.
Il denominatore comune - evidentemente fattore eziologico scatenante - è la pratica di un videogame, che mi sono convinto essere stato studiato a tavolino perché divenisse potenzialmente assuefacente, sul quale quasi tutti i ragazzi si intrattengono per diverse ore al giorno e che dagli episodi riportati dai genitori, scatena sofferenza da astinenza e un bisogno pressante, che assume i tratti della compulsività. Si tratta, né più, né meno, di dipendenza di natura psicologica e fisica, con tutti i meccanismi annessi di addictiontolleranzaastinenza e craving.
Comparso non poco tempo fa, nel 2017 per la precisione, e sviluppato da Epic Games e People Can Fly, Fortnite è diventato in un batter d’occhio il più grande gioco gratuito per console di tutti i tempi: un vero e proprio gioco di combattimento, nel quale si svolge una battaglia a tutto campo: tutti contro tutti, dove a vincere è l’ultimo che resta in vita. Terribilmente veloce, violento, sicuramente ansiogeno, questo gioco, nel quale i giocatori si paracadutano in uno scenario apocalittico, inizia con una corsa agli armamenti per poi lanciare i gamer in una vera e propria azione bellica, con numerose armi a disposizione. 
Ispirato alla saga letteraria, e poi cinematografica di The hunger games ogni giocatore ha come unico obiettivo quello di sterminare tutti gli avversari, con ogni mezzo a sua disposizione.
Gli effetti osservati sui gamer sono devastanti: irritabilità, stato di continua distrazione, difficoltà a relazionarsi con i pari e con gli insegnanti se non attraverso una dose più o meno elevata di aggressività, superficialità e pochissima capacità di approfondire, instabilità emotiva e una serie di altri sintomi, che potrebbero costituire una vera e propria sindrome, quella che mi piace definire come la "Sindrome di Fortnite".
Tralasciando una riflessione che potrebbe configurarsi di ordine etico, come lo sdoganamento dell’omicidio e che il fatto di prendere parte ad una vera e propria carneficina usando fucili a pompa, granate e pistole di ogni genere, sebbene in modalità ludica, sia la cosa più normale, nonché più divertente ed eccitante di questo mondo; e tralasciando, infine, una riflessione di ordine politico-filosofico, secondo la quale questo gioco, ponendo sé stesso come una vera e propria anti-scuola, implementerebbe un modello cognitivo-relazionale concorrenziale, pantragistico, bellico; modello proprio del disastroso sistema capitalistico - mentre gli elementi teorici che dimostrano la superiorità dei modelli cooperativi sono numerosissimi, validissimi e scientificamente indiscutibili - che si pone  come obiettivo la formazione di un uomo competitivoacritico, stupidissimo utilizzatore finale e pedina perfetta di questo iniquo sistema economico, nei gamer osservati si può leggere agilmente una vera e propria forma larvale di epilessia, che sebbene quasi sempre non raggiunga la sua fase parossistica, dove più, dove meno, si manifesta in comportamenti compulsivi, nell’incapacità di dominare la propria emotività, nella scarsa attenzione, in problemi di apprendimento, e di relazione, negli sbalzi di umore e nella incapacità di ascoltare l'interlocutore con serenità.
È come se la mente dei nostri alunni avesse incominciato a girare ad un’altra velocità, dove la distrazione, il pensiero convulsivo, lo stress mentale derivato da una eccessiva e prolungata iperstimolazione neuronale la facessero da padroni.
Il fenomeno non è assolutamente da sottovalutare, perché comporta veri e propri disturbi della personalità e influisce e sicuramente manifesterà il suo peso sull'armonioso sviluppo dei nostri ragazzi e sul loro percorso di umanizzazione.
Sono sempre più convinto che ogni genitore debba trovare il coraggio di porsi come segno di discontinuità al “sistema”, considerando con maggiore responsabilità le conseguenze che potrebbero derivare dal restare ore intere attaccati alla console ed intervenire, operando con scelte più coraggiose, nei confronti dei propri figli.

Ma forse l’esempio di discontinuità più forte, più significativo, è nascosto proprio all’interno della saga che ha ispirato questo gioco. Un segno suggestivo, creato proprio dalla sua protagonista, una ragazza di nome Katniss Everdeen, che ad un certo punto della storia acquisisce consapevolezza della necessità del dissenso, della ribellione a quella città, Capitol City - metafora del nostro sistema - che controlla, con la “mediocrazia” dei suoi burocrati, la vita di ognuno degli abitanti dei distretti di quel mondo.
Obbligata a partecipare agli Hunger Games, un evento mediatico nel quale i partecipanti sono costretti a combattere in un luogo detto “arena” finché solo uno di essi rimanga vivo, ad un certo punto della storia la ragazza si ribella a quel sistema. La sua rivoluzione è segnata da un simbolo, che diventa poi il segno di quella ribellione: la ghiandaia imitatrice.  Dopo i 74esimi Hunger Games la ghiandaia imitatrice diventa l’emblema della rivolta: la mano alzata, di cui le dita, anulare, medio e indice vengono distese, mentre il pollice e il mignolo si ripiegano fino a toccarsi.

Infine, nel terzo libro della saga la bella Katniss, la protagonista, diviene essa stessa personificazione della ghiandaia imitatrice, indossando un'armatura che richiama proprio il piumaggio di quell'uccello.
È stato solo l’anno scorso che ho trascorso qualche giorno di vacanza a Venezia. Dopo il soggiorno ho pubblicato su una piattaforma social una mia foto, nella quale la mia mano alzata ha il pollice ed il mignolo che si stringono fino a toccarsi.



Tornato a scuola Antonio, che mi segue sui social, mi ha subito chiesto: “Maestro, che significa in quella foto la tua mano messa in quel modo?”.

“Antò, la cosa è un po’ lunga da spiegare. Però, per farla breve, significa che io mi sono sempre rifiutato di giocare a Fortnite”.


Tommaso Travaglino