domenica 17 dicembre 2017

Lettera a zia Rita

Carissima zia Rita,
al funerale di zia Geppina eri talmente arrabbiata con me che non solo non mi hai salutato, ma appena abbiamo incrociato i nostri sguardi mi hai urlato in faccia tutta la tua rabbia. Sto considerando che forse avevi proprio ragione, carissima zia, perché è da più di una decina d’anni che non ci vediamo e non ci sentiamo, e la responsabilità è fondamentalmente mia.
Sai, tra i nostri numerosissimi parenti presenti quel giorno in chiesa molti, tra cui Michele, Erry, Rino, Ciro e tanti altri, mi hanno rimproverato la stessa cosa: non ci vediamo da decenni.
A questo punto devo però confessarti, cara zia, che forse il mio problema è quello di non aver mai creduto nei vincoli costituiti dai legami biologici, o almeno nel fatto che il “legame di sangue” abbia una sorta di priorità o di “status” speciale o, addirittura, che possa considerarsi un legame su cui fare affidamento in valore assoluto. Al contrario ho sempre sostenuto che più si regredisce culturalmente e civilmente, più il concetto di consanguineità acquista centralità. In tal senso il fenomeno mafioso e/o camorrista ne è un esempio eloquente, laddove la famiglia, il clan, la tribù sono stati caricati di un peso, di una importanza che non credo assolutamente abbia valore reale. Non esiste "il sangue". L'affinità genetica non crea "vicinanza". Sono idiozie che lascio all'eugenetica del Terzo Reich e ai disastri che ha prodotto quella mostruosa follia.
Quello della "parentela", in fin dei conti, non è un rapporto di elezione ma un “legame” che ti cade addosso dalla nascita, e che talvolta può anche pesare come un macigno sul collo.
A dimostrazione di quello che ti sto scrivendo basta il fatto che quelle pochissime volte che ho avuto bisogno di qualcuno, accanto a me non ho mai trovato un parente. Sì, hai ragione, forse un parente io non l’ho mai cercato, ma è anche vero che se cerchi qualcuno significa che lo hai già trovato, che hai già sperimentato la sua lealtà e che per questo ce l’hai già nel cuore. Si cerca, in sostanza, solo chi hai già trovato, chi hai già dentro.
Il legame vero, solo per dirla ancora in un altro modo, non è dato dal sangue, ma dall’elezione. Sono sempre più convinto che il mio fratello autentico, i miei zii, quelli veri e i miei cugini, quelli genuini, non sono quelli che mi sono capitati come fratelli, zii e cugini, ma sono quelli che si sono scavati un posto nel mio cuore. Ovviamente tutto ciò non significa che un fratello o un cugino non possa essere tale tout court, ma un fratello o uno zio è tale realmente solo quando si comporta davvero come fratello o veramente come uno zio, conquistando un posto nella mia vita. La prova me la darebbe sicuramente la mia memoria emotiva, perché se così fosse la sua figura mi rimarrebbe cara, il suo animo vicino, la sua presenza fisica qualcosa di cui non potrei fare a meno.
E purtuttavia sono anni che anche con i miei amici più stretti, quelli che si sono realmente accampati nel mio cuore, mi vedo davvero raramente.
Così i miei amici, quelli veri, oggi potrebbero rimproverarmi - a ragione - la stessa cosa.
Eppure non lo fanno.
Ho scoperto che i miei amici, quelli veri, restano umili, pazienti, e sanno aspettare. Cercano ragioni, e così immaginano – solo per giustificarmi - che la mia vita sia effettivamente un po’ "strana" e che, specialmente negli ultimi anni, è stata talmente fagocitata dallo studio che sono disposti a sopportare la distanza, il tempo, gli infiniti silenzi, stringendo la certezza che quando ci rivedremo sarà come se ci fossimo rincontrati dopo poche ore appena.
Forse perché oggi, cara zia, non è più come ai tuoi tempi. In prima istanza perché il tempo si è ristretto. Ai tuoi tempi ogni cosa era più distesa. Compleanni, onomastici erano occasioni per vedersi, per stare insieme. Eppure erano occasioni, come dire, dovute, forzate, che io non cercavo, perché alla fine si trattava solo di un dovere, e la parola “dovere”, per un contorto meccanismo psicologico, non si sposa mai con la parola “piacere”.
Eppure sono convinto che la restrizione del tempo, in questa strana e incerta era che stiamo vivendo, ha portato in prima istanza ad una maggiore libertà.
Oggi gira tutto più velocemente. Il tempo è diventato vorticoso, stiracchiato, striminzito.
Da cosa dipende? Non me lo chiedere, cara zia. Le ragioni penso siano numerose. Che ne so, potrebbe anche dipendere dal fatto che il nostro sistema stellare potrebbe trovarsi in una fase di rallentamento, perché starebbe attraversando una zona dell’universo nella quale è presente una maggiore concentrazione di materia oscura, e questo rallentamento nello spazio starebbe provocando un’accelerazione del tempo.
Sai, mi ha sempre affascinato l’ipotesi di alcuni astronomi che, per spiegarsi i periodi glaciali, hanno ipotizzato il passaggio del nostro sistema solare o della nostra galassia in zone più fredde dell’universo.
Sì, hai ragione, non tergiversiamo. Alla fine, in sostanza, anche tutto questo non spiega un bel niente, perché tutto ciò comporterebbe, sì, una accelerazione del tempo in valore assoluto, ma non del tempo percepito. D’accordo: più si accelera, più il tempo si distende, ma colui che si trova coinvolto in questa accelerazione o in questa decelerazione non potrebbe percepire i cambiamenti, e per spiegarlo basterebbe il paradosso dei gemelli descritto da Einstein, che è abbastanza eloquente.
Resta solo un’altra spiegazione, che in qualche modo riassuma tutti gli elementi e che serva a spiegare il fenomeno di questa restrizione del tempo: i tempi sono cambiati. 
Così, di un mio amico, talvolta mi basta sapere sommariamente come sta, mi basta visitarlo su un social per capire cosa sta facendo e se sta bene, o pregare per lui se mi accorgo che attraversa un momento di sofferenza, come mi è successo con uno di essi ultimamente.
Io so che lui sa che io so.
Oggi funziona così. Allora forse la responsabilità non è tutta mia. Forse un po’ di colpa ce l’hai anche tu, dal momento che un account facebook o instagram non ce l'hai.

-->
Oggi, per fortuna, è finito il tempo dei compleanni e degli onomastici, delle visite di cortesia percepite solo come dovere da compiere. Oggi io vivo il mio tempo, cercando di strappargli ogni minuto, ogni secondo, talvolta con i denti. E tutto questo non significa che non ti voglia bene. Sai, spesso ti penso. Prova ne è il fatto che ti ho scritto questa lettera, e che quelle tue parole al funerale di zia Geppina non le ho dimenticate. Adesso so che, nel nostro caso, il mio pensiero funziona proprio come un social network, perché talvolta ti penso, sapendo che di tanto in tanto anche tu mi pensi.

Nessun commento:

Posta un commento